“BACHECA DI BIOETICA”: Pillola dei 5 giorni dopo, «il problema è la sua commercializzazione non l’acquisto online»
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“BACHECA DI BIOETICA”: Il Comitato Verità e Vita propone alla vostra attenzione il testo che segue, ritenendolo di particolare interesse e di sicura pertinenza ai temi della difesa della vita. Il Comitato Verità e Vita ricorda che gli articoli, i brani tratti da blog e in generale tutti i documenti diffusi in questa rubrica non rappresentano in alcun modo una presa di posizione ufficiale del Comitato, e che inoltre i contenuti di tali documenti non necessariamente sono coerenti con le posizioni del Comitato. Dunque, tali documenti esprimono esclusivamente il punto di vista dell’autore, che risponde di quanto ha scritto e affermato.
Pillola dei 5 giorni dopo, «il problema è la sua commercializzazione non l’acquisto online»
«Il mercato nero è sempre esistito. Se le donne comprano una pillola illegale in Italia è un conto, se ne comprano una legale, però, le cose cambiano». Così Renzo Puccetti, medico e membro della Research Unit della European Medical Association, interviene in merito alla polemica della pillola dei 5 giorni dopo (Ellaone), introdotta in Italia con la regola di assumerla solo una volta che la donna dimostri di non essere incinta dopo essersi sottoposta a un test di gravidanza. «Qui sta l’inganno: la commercializzazione della pillola, che invece poteva essere vietata in quanto abortiva. La EllaOne è una prostaglandina, ha cioè effetti abortivi perché stimola le contrazioni che espellono l’embrione dall’utero».
Ma la polemica è scoppiata intorno al test necessario per evitare aborti.
Mettiamo che una donna abbia il rapporto sessuale di domenica, giorno in cui ha ovulato. Il lunedì va a chiedere la pillola dei 5 giorni dopo al pronto soccorso e lì le dicono che ci vuole il test di gravidanza. Così lo fa il lunedì mattina e l’esito arriva dopo poche ore. Peccato che risulterà negativo, anche se è incinta, così la donna prenderà la pillola e abortirà.
Perché la donna potrebbe essere incinta anche se il test è negativo?
Perché se l’ovulazione è già avvenuta e l’embrione è fecondato, ma non ancora annidato in utero, il test non lo vede. Così l’effetto della pillola è solo antinidatorio dell’embrione. Non più antiovulatorio.
Quindi anche se le donne non comprano la pillola online possono usarla come abortiva seguendo la legge vigente.
Purtroppo è così. È come per la Ru486. All’inizio si pensava che ponendo dei paletti
(si può somministrare solo in ospedale) la gente non l’avrebbe usata. Ora i numeri del suo utilizzo sono in aumento. Perché la convenienza è sia economica sia psicologica (ai medici non sembra di partecipare attivamente all’aborto). Per altro la donna può firmare le dimissioni e abortire a casa.
Ma che alternative ci sono ai paletti posti per arginare i danni?
La posizione del male minore in questi casi è perdente. Primo, perché non lo si ottiene, i paletti infatti sono continuamente infranti o raggirati. Secondo, perché nessuno ha educato le coscienze a cosa sia davvero la pillola e al valore della vita dell’embrione. Anzi, si fa peggio: molte donne non solo usano la pillola ma pensano erroneamente che una volta fatto il test, che risulta negativo, l’aborto non avvenga.
Soluzioni a questa politica?
La politica del bene possibile maggiore è un’alternativa reale. La EllaOne è in contrasto con la nostra legge: quella sull’istituzione dei consultori parla di vita dal concepimento, le sentenze della Corte Europea stabiliscono l’inizio della vita con la fecondazione. Persino la legge 40 dice che gli embrioni vanno tutelati. In questo caso, anche se l’Unione Europea ha approvato il farmaco, nel momento in cui la nostra legge contrasta con l’entrata in commercio dello stesso si va in arbitrato. Purtroppo, però, si preferisce giocare al ribasso perdendo e diffondendo una cultura ambigua sulla vita.
Perché non si segue la strada del bene possibile maggiore?
Perché c’è l’erronea convinzione che la gente non possa perseguire la strada giusta, quella che definisce l’aborto sbagliato e la vita sacra. Altrimenti non mi spiego perché, quando in Consiglio Superiore della Sanità fu aperto un fascicolo che rivelava che era possibile contrastare l’entrata in vigore della Ru486, si fece finta di niente. Posi le norme che mi davano ragione sul piatto ma furono ignorate.