In Belgio l’eutanasia è ottima per i trapianti.

di Thaddeus Baklinski 23-06-2011

Lovanio, Belgio – Un inquietante studio condotto da un gruppo di medici belgi, di cui ha dato notizia il periodico specialistico Applied Cardiopulmonary Pathophysiology, contempla l’uccisione di pazienti per via eutanasica in una sala adiacente a quelle in cui si svolgono le normali operazioni ospedaliere e quindi il loro trasporto nella stanza accanto per l’espianto degli organi subito dopo la constatazione del decesso. Lo studio afferma infatti che i polmoni di coloro che muoiono per eutanasia sono più adatti a interventi di trapianto rispetto a quelli asportati da vittime accidentali.

Dick van Raemdonck, del Dipartimento di Chirurgia toracica della Clinica universitaria Gasthuisberg, nonché capo dell’équipe impegnata nello studio pubblicato in forma di rapporto con il titolo Initial experience with transplantation of lungs recovered from donors after euthanasia, ovvero “Prima esperienza di trapianto di polmoni prelevati da donatori sottoposti a eutanasia”, ha paragonato tra loro, per il periodo compreso fra il 2007 al 2009, i risultati ottenuti con il trapianto di polmoni prelevati da persone morte per trauma, tipicamente in seguito a gravi ferite alla testa, e quelli raggiunti con l’utilizzo di polmoni provenienti da donatori eutanasizzati.

Secondo il rapporto, tre pazienti su quattro di coloro a cui sono stati trapiantati polmoni provenienti da pazienti eutanasizzati sono stati dimessi dall’ospedale dopo 33 giorni «con eccellenti funzioni d’innesto post-trapianto e un precoce buon esito ricettivo», e tra quei riceventi si è verificato «un solo decesso nel reparto di terapia intensiva causato da problemi indipendenti dal trapianto».

«Tutti i donatori», si osserva nel rapporto, «avevano espresso il desiderio di offrire i propri organi una volta che la loro richiesta di accedere all’eutanasia fosse stata accettata secondo quanto stabilito dalla legge belga. Tutti i donatori soffrivano di insostenibili disordini non maligni».

Il rapporto afferma che fra i quattro donatori eutanasizzati presi in considerazione uno era affetto da «insostenibile disordine mentale» mentre i restanti tre soffrivano «di una debilitante malattia benigna, tipo un disordine di natura neurologica o muscolare».

Per procedere all’operazione, i donatori sono stati ricoverati in ospedale alcune ora prima della progettata eutanasia. Poi sono stati uccisi in una sala prossima a quelle in cui si svolgono i normali interventi clinici. Quindi i loro polmoni sono stati prelevati immediatamente dopo la conclamazione del decesso.

«In una sala adiacente a quella operatoria è stato predisposto un accesso venoso centrale», scrive il dottor Van Raemdonck nel rapporto. «Quindi i donatori sono stati eparinizzati (ovvero è stata iniettata loro dell’eparina, un anticoagulante) subito prima di assumere un cocktail di medicinali somministrato dal medico operante incaricato dell’eutanasia. Infine, come impone la legislazione belga per qualsiasi donatore di organi, il paziente è stato definito morto in base a criteri cardiorespiratorio da tre medici indipendenti. A questo punto il defunto è stato trasferito rapidamente, posizionato sul tavolo operatorio e intubato».

Il rapporto afferma che i donatori eutanasizzati ammontano al 23,5% di tutti i donatori belgi di polmoni deceduti per arresto cardiaco.

Il dottor Peter Saunders di Care Not Killing – una rete britannica composta di organizzazioni che si preoccupano dei diritti umani dei disabili, di gruppi per la garanzia dell’assistenza medica e delle cure palliative, nonché di associazioni d’ispirazione religiosa contrarie all’eutanasia – si è detto scioccato dell’indifferenza casual con cui è scritto quel rapporto.

«Mi ha sconvolto», ha detto con parole riportate dal quotidiano britannico The Telegraph, «la nonchalance con cui viene trattato l’argomento, quasi che uccidere pazienti per prelevarne gli organi sia la cosa più naturale del mondo. L’approccio scarno con cui il rapporto descrive il processo di espianto degli organi è particolarmente agghiacciante e mostra quale grado di collaborazione fra squadra eutanasica e chirurghi trapiantisti sia necessario per la riuscita dell’operazione: “preparateli per la scena di fianco alla sala operatoria, poi uccideteli e quindi spediteli dentro per il prelievo degli organi”. Il tutto con una sola giornata di lavoro del Nuovo Mondo Belga».

Come sottolinea il dottor Saunders, «dato che in Belgio la metà dei casi di eutanasia avviene senza la volontà espressa del malato, è solo una questione di tempo prima che gli organi siano prelevati dai pazienti senza consenso. Oggi in quel Paese i medici fanno cose che la maggior parte dei loro colleghi di altri Paesi del mondo giudicherebbe assolutamente orrende».

Ana Iltis, direttrice del Center for Bioethics Health and Society dell’Università di Wake Forrest nel North Carolina, in un intervento a Fox News, precisa: «Una volta accettata l’idea che i medici uccidano i pazienti, sembra logico che ne prelevino gli organi per i trapianti. La gente tende a rispondere con un “bleah”, ma questa riposta dovrebbe essere indirizzata all’eutanasia».

La Iltis fa riferimento a un rapporto stilato della Canadian Medical Association (CMA) che calcola il numero dei casi di eutanasia privi di esplicita richiesta da parte dei pazienti verificatisi in Belgio nel 2010. Secondo il CMA, il 20% degli infermieri belgi intervistati dai ricercatori ha preso parte a operazioni eutanasiche e quasi la metà di loro – un numero di persone compreso fra le 120 e le 248 – ha ammesso di aver partecipato a «terminazioni senza richiesta o consenso. Fra questi si possono immaginare casi in cui è stata la famiglia del paziente a esprimere il consenso, ma, per come la comprendo io, la legge esige l’esplicita richiesta da parte del paziente».

Intervistato da LifeSiteNews, il direttore dell’organizzazione canadese Euthanasia Prevention Coalition, Alex Schadenberg, dice che siccome oggi l’eutanasia e il suicidio assistito vengono venduti alle masse come una panacea capace di mettere fine a ogni sofferenza, quanto accade in Belgio è presentato come un modo altruistico per fare del bene al prossimo attraverso le nostre morti.

«Le persone che quindi non moriranno per eutanasia o suicidio assistito», aggiunge Schadenberg, «verranno considerate egoiste e quindi ostracizzate poiché le loro malattie protratte sino alla morte naturale imporranno alla società costosi esborsi di denaro oppure perché negheranno organi freschi e sani agli altri che ne hanno bisogno». Peraltro, conclude Schadenberg, «gli organi così utilizzati sono sani perché la persona che li dona spesso non è un malato terminale, ma un paziente che teme di avviarsi a una condizione di vita terminale. Continueranno a dirci che la cosa riguarda la libertà di scelta. Ma la scelta di che? Quella della scelta è solo una illusione; qui si tratta invece di imporre la morte».

La versione originale di questo articolo, Shock study: Organs harvested from euthanized patients make better transplants, è comparsa su LifeSiteNews, il portale Internet dedicato alla cultura della vita e alla difesa della famiglia naturale fondato nel settembre 1997. Con sede centrale a Front Royal, in Virginia, e un importante distaccamento a Toronto, in Canada, LifeSiteNews è diretto da John-Henry Westen.
Traduzione di Marco Respinti

Info su Giorgio

Sono un Infermiere, scrivo libri e da molti anni sono attivo nel volontariato pro life per quanto riguarda la difesa della vita dal concepimento al termine naturale. Sono presidente dell'associazione "Ora et Labora in difesa della vita"
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