Bisognerà pure parlare di Giorgio Celsi…- del magistrato Giacomo Rocchi

Bisognerà pure parlare di Giorgio Celsi, l’infermiere fondatore dell’Associazione “Ora et Labora in difesa della Vita” che manifesta davanti agli ospedali contro la legge sull’aborto e per convincere le donne a non uccidere i loro figli. Si deve parlarne, se è vero che, come il cardinal Bagnasco ha sottolineato a Todi, “il bene è possibile solo nella verità e nella verità intera”, per cui occorre respingere gli inviti, più o meno espliciti, a non parlare di certi valori perché “divisivi”, “inopportuni e scorretti”, a lasciarli “in un cono d’ombra e di silenzio”.
In due post dell’ottobre e del novembre 2010 (“Citazioni e strategie” e “Volontari buoni e volontari cattivi”) abbiamo visto come Valter Boero, del Movimento per la Vita di Torino, riteneva evidentemente “divisive” le condotte del Celsi, mostrando a “La Repubblica” tutta la sua “correttezza” e anche un po’ di disprezzo (“Né tantomeno andiamo a pregare al mattino presto davanti al Sant’Anna come fanno alcuni di loro”).

Il fatto è che, con quella preghiera e con quella manifestazione, quel gruppo (e gli altri gruppi che adottano iniziative analoghe) ribadiscono una “verità tutta intera”: con l’aborto si uccide un bambino innocente in modo crudele; in Italia c’è una legge che permette di uccidere i bambini che stanno crescendo nel grembo delle loro mamme.

La verità rende liberi, ma fa male a coloro che non vogliono ascoltarla: e così – si direbbe: puntuale – è giunta – dopo la diffamazione a mezzo stampa – la minaccia: “se non smetti, ti licenziamo e non potrai più fare l’infermiere!” Sì, perché Celsi, alle riunioni davanti agli ospedali ci va con il suo camice di infermiere: e questo, evidentemente, deve fare ancora più rabbia a chi non vuole che la “verità tutta intera” sia proclamata; perché – lo sanno bene i pubblicitari … – un camice significa maggiore autorevolezza di chi testimonia un fatto di natura medica: un infermiere conosce ancora meglio cosa significa uccidere un bambino con l’aborto!

“Non si fa, non è decoroso, non è dignitoso, dove va a finire l’immagine della nostra professione infermieristica?” Già: dove va a finire – non l’immagine – ma la sostanza della professione dell’infermiere?

Certo non aiuterà a trovarla colui che ha firmato la lettera formale di contestazioni, che in un editoriale apparso su un giornale di categoria, così inizia: “DDL Calabrò: l’unica speranza è quella di prendere un treno per Lugano” (sottintendendo: con quel progetto di legge, per farsi ammazzare le persone dovranno andare in Svizzera …). Si tratta – lo dice subito dopo – di una “provocazione”, ma con un incipit di questo tipo si legge con timore che il presidente Giovanni Muttillo invita a riflettere sul “ripensare al significato profondo di assistere”, sul “prolungare le funzioni biologiche per tempi indefiniti”, sul “valutare il ricatto della tecnica invadente” e – soprattutto – sul “gestire risorse finite a fronte di bisogni in espansione” (in parole povere: i soldi sono pochi, chi lasciamo morire?).

Il dott. Giovanni Muttillo, Presidente del Collegio Interprovinciale Milano – Lodi – Monza – Brianza, vuole rifondare la professione infermieristica? E sulla base di quali criteri?

Cercheremo di approfondirlo in seguito.

Giacomo Rocchi

Info su Giorgio

Sono un Infermiere, scrivo libri e da molti anni sono attivo nel volontariato pro life per quanto riguarda la difesa della vita dal concepimento al termine naturale. Sono presidente dell'associazione "Ora et Labora in difesa della vita"
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