Assistenza sanitaria in crisi. Ma come spende i nostri soldi?

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Il Presidente Associazione “Ora et Labora in Difesa della Vita” ci ha inviato questo post, dopo aver letto su un giornale che il Sistema Sanitario Nazionale è in crisi profonda e non ha i soldi per l’assistenza ai malati.

Il Sistema Sanitario Nazionale rischia il collasso per insufficienza di risorse. Si stima infatti che manchino dai 20 ai 30 miliardi di euro per garantire il mantenimento degli attuali standard dell’assistenza. E già nell’ultimo anno 12,2 milioni di italiani hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie, perché troppo costose per le loro tasche, secondo quanto affermato dal quotidiano La Repubblica (v. articolo di Irma d’Aria del 7/6/2017, disponibile online qui ).

La notizia è tanto più sconcertante, se si pensa che la nostra assistenza sanitaria continua a finanziare 500 aborti ogni giorno, equivalenti a 22 ogni ora.

Oltretutto è moralmente iniquo incassare il denaro di milioni di contribuenti italiani contrari all’aborto e usarli per promuovere ed eseguire l’aborto.

Il “non uccidere” è una legge naturale che non ammette alcun compromesso: si tratta di 500 omicidi di bambini eseguiti nel grembo materno, che la legge 194, criminale e immorale, ha trasformato da culla  in cimitero. Questi delitti avvengono nei nostri Ospedali, trasformati già da parecchi anni in Aziende, dove l’interesse primario non è più la salute della persona o della collettività, ma il fatturato.

E’ importante essere consapevoli che il fatturato che deriva dagli aborti è altissimo: ogni Regione versa all’ospedale per ogni singolo aborto dai 1.300 ai 5.000 euro a seconda del trimestre di gestazione in cui viene eseguito; cifra molto alta in quanto sono considerati interventi urgenti, in considerazione della tempistica da rispettare. E l’Italia è il Paese europeo dove l’aborto costa di più.

Ne consegue che, per interessi economici, molti ospedali preferiscano uccidere i sani, piuttosto che curare gli ammalati.

Non essendo la gravidanza una malattia, né tanto meno l’aborto una cura, perché non chiedere lo stralcio del finanziamento pubblico dell’aborto, così da poter indirizzare i soldi risparmiati alla cura delle malattie?

In aggiunta a questo, i contribuenti stanno anche sostenendo gli enormi costi dell’assistenza alle operazioni di “cambiamento” del sesso e alla fecondazione artificiale, ora entrata impropriamente nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza): per ogni ciclo di eterologa, poi, il Servizio Sanitario Nazionale spende in più almeno 2.400 euro per gli ovociti e 400 euro per gli spermatozoi. Poi c’è l’assistenza per le venditrici di ovuli, nel caso in cui sviluppassero il cancro o le altre conseguenze della sindrome da iperstimolazione ovarica, a causa delle bombe ormonali a cui sono state sottoposte, poi si dovranno risarcire i genitori se il bambino nascesse handicappato, si dovranno risarcire i genitori se venissero scambiate le provette (si veda ad esempio quanto è successo al Policlinico di Modena dove una coppia, una volta avvisata dello sbaglio, ha poi deciso di abortire e ha ottenuto 1.500.000 € di risarcimento).

Il paradosso è che, mentre si fanno sforzi ingenti e sperpero di denaro pubblico per produrre la vita artificialmente (con una percentuale di successo bassissima, tra il 10 e il 20%), non si permette di nascere a chi è già concepito.

Alle donne che rivendicano il diritto ad uccidere il proprio bambino gridando: “L’utero è mio” vorrei dire: “Se l’utero è tuo perché il tuo aborto lo vuoi far pagare a me? Perché mi vuoi rendere complice dei tuoi sbagli? Quando capirai che un bambino non è mai un errore ma un dono?”.

L’aborto è un omicidio e ho il diritto a non esserne complice. Tutti noi siamo vivi oggi perché le nostre madri non ci hanno abortito. Che l’aborto sia un omicidio è una verità oggettiva, sperimentalmente verificabile da chiunque, basta osservare un’ecografia. Lo ha ribadito chiaramente anche l’ateo e anticlericale Christopher Hitchens, affermando che: “I passi in avanti della scienza, della medicina, dell’embriologia hanno evidenziato che un feto acquisisce caratteristiche umane prima di quanto eravamo abituati a pensare”.

Non si tratta di una questione religiosa. La scienza e la medicina confermano, senza ombra di dubbio, che la vita inizia al concepimento. Bastano gli occhi e la ragione per rendersi conto che con l’aborto si distrugge una vita che è già cominciata e che – come dimostrano tutti gli studi medici in materia – ha già una sua particolarissima autonomia, tanto che da interagire con la madre e provare una ricca gamma di sensazioni che la segneranno anche dopo la nascita.

E’ veramente sconsolante sentir ripetere ancora oggi che «solo la donna ha il diritto di decidere». È fin troppo facile rispondere a queste persone che anche loro furono embrioni, e che oggi non potrebbero dire quello che dicono se le loro madri avessero deciso che eliminarli era un «diritto».

E’ ora di finirla con simili ipocrisie: la posta in gioco non è solo la libertà della donna; è in gioco anche la libertà di continuare ad esistere di chi c’è già.

L’onestà intellettuale e l’evidenza della ragione, al di là di ogni personale convinzione  politica e religiosa, non possono che concordare con il pensiero di Christopher Hitchens, quando ha affermato: “Chiunque abbia visto un’ecografia o abbia speso un’ora su un manuale di embriologia sa che le emozioni non sono il fattore decisivo. Al fine di terminare una gravidanza, devi ridurre al silenzio un cuore che batte, spegnere un cervello che cresce e, al di là del metodo, rompere delle ossa e distruggere degli organi”.

Giorgio Celsi

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